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La concezione marx-engelsiana dello Stato

Marx Engels

In occasione del bicentenario della nascita di Karl Marx, ho ritrovato miei vecchi appunti di studente di filosofia su un corso risalente al 2009 del prof. Guido Liguori, uno dei maggiori studiosi italiani del pensiero comunista. Li ripropongo così come sono, senza apportare modifiche.

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Storia del pensiero politico contemporaneo – Prof. Liguori
Appunti sul corso “La concezione marx-engelsiana dello Stato. Marx e Engels vs Bakunin”, II semestre 2008/2009

 – 17/03/2009

Marx, oggi, è spesso ritenuto uno scienziato sociale, un sociologo che ha descritto i rapporti tra struttura sovrastruttura, che ha reso scientifico il socialismo, mentre la politica sembra avere un ruolo secondario; non è così, il rapporto tra struttura e sovrastruttura (o, a seconda dei punti di vista, infrastruttura) non è rigido e univoco come viene spesso inteso parlando della sua scientificità, mentre l’impegno politico è una costante della vita di Marx ed Engels, basti pensare alla partecipazione all’Associazione Internazionale dei Lavoratori (la cosiddetta Prima Internazionale), di cui scrivono i programmi come il “Manifesto del Partito comunista” del 1848.

BIOGRAFIA INTELLETTUALE DI MARX – Negli anni dell’università si forma nell’area della Sinistra Hegeliana, cioè i discepoli di Hegel che interpretano la filosofia del maestro in una prospettiva progressista radicale, e si laurea in filosofia a Jena e si trasferisce a Colonia per scrivere da giornalista sulla Rheinische Zeitung (Gazzetta Renana), dove già in un articolo sulla legge contro i furti di legna evidenzia il passaggio storico dal feudalesimo al capitalismo: attraverso la mercificazione di ogni cosa, dando al denaro il ruolo più importante nei rapporti tra individui. Continua a leggere


I quaderni nazisti di Heidegger

L’uscita di questo articolo sta suscitando, tra gli studiosi di Heidegger, non poche perplessità. A me invece sta solo confermando quello di cui ero già convinto: che il caro Martin, per quanto a modo suo, avesse aderito in maniera del tutto convinta al regime nazista.

Heidegger è un pensatore ormai molto influente negli àmbiti accademici, tanto che non si può fare a meno di citarlo o di vederselo citare in risposta a interventi, articoli, saggi ecc.; quanto meno, non è possibile evitare di confrontarsi con il suo pensiero, o parte di esso, poiché le sue critiche esistenzialiste all’era moderna trovano vasta eco nei problemi peculiari della globalizzazione: dall’annullamento dell’individuo nei numeri statistici, alla soverchiante potenza della tecnica non solo in ambito pratico, ma soprattutto in ambito culturale ed etico. Io, a causa dell’antipatia che questo filosofo mi suscita, non ho mai approfondito granché il suo pensiero, e devo dire che spesso sento di dover colmare questa lacuna, per poter affrontare al meglio certi temi. Le critiche da lui portate alla modernità, certo valide e profonde, ma di stampo regressivo, vengono ormai preferite a quelle dei principali esponenti della Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse ecc.), indebitamente ritenute “sorpassate” perché legate alla cultura marxista e all’epoca in cui furono sviluppate. Il problema è che l’epoca fu grosso modo la stessa di Heidegger, dagli anni Trenta ai Sessanta, con la visione di grandi contrapposizioni tra regimi totalitari e democrazie capitalistiche, la nascita e lo sviluppo sempre più veloce della società di massa e dei suoi elementi massificanti. La differenza, per quanto mi è dato comprendere al momento, sta nella diversa prospettiva intellettuale: esistenzialista nel caso di Heidegger, quindi concentrata sulla vita dell’uomo, sul suo esserci e sull’essere in generale; marxiana nel caso della Scuola, cioé non prettamente politica (ossia marxista), ma incentrata sull’analisi materialistica dei rapporti sociali, politici e culturali che condizionano gli individui, anche sul piano psicologico. Se la Scuola di Francoforte è perciò legata all’analisi di una configurazione sociale che oggi, per molti versi, è mutata, la critica heideggeriana assume una connotazione atemporale, valida al di là delle epoche contingenti, perché fa riferimento alla natura umana in modo “diretto”.

Cosa vuol dire tutto ciò? Che Heidegger, dapprima relegato ai margini del mondo accademico in quanto compromesso con il regime nazista, è diventato di fatto l’autore più studiato della filosofia contemporanea. Continua a leggere


Una nota sulla questione morale in Marx

 Karl Marx è ritenuto, tra le altre cose, uno dei maggiori critici della morale assieme a Nietzsche, a Freud e a vari altri autori generalmente accomunati nella cosiddetta “scuola del sospetto”. Il socialismo marxiano, infatti, viene definito scientifico per distinguerlo dai socialismi precedenti, detti utopistici: questi ultimi erano, secondo Marx ed Engels, troppo idealistici, fondati su concezioni di società avulse dai rapporti reali; un socialismo scientifico si fonda invece sull’analisi di quei rapporti, della struttura di una società in continua evoluzione. Oltre a questo, lo stesso Marx ha più volte criticato le istanze morali come base della lotta politica, insistendo contro il dualismo “giusto-ingiusto” nella stesura di programmi, indirizzi e piani d’azione dei partiti e delle associazioni a favore dei diritti della classe lavoratrice (in particolare nella Critica al programma di Gotha). L’emancipazione e lo sviluppo pieno della persona umana non sono fonti ideali per metri di giudizio, così come la realtà dello sfruttamento nel modo di produzione capitalista non è dovuto alla “cattiveria” dei padroni nei confronti dei lavoratori, bensì al funzionamento del sistema in sé.

Detto ciò, ho spesso sentito parlare di una contraddizione latente nell’opera di Marx: Continua a leggere


Il tubo digerente di Vendola

Il problema, ma anche il bello, di studiare filosofia è che quando qualcuno dice una stupidaggine te ne accorgi subito. Naturalmente non si deve trattare di persone notoriamente ottuse o ignoranti, bensì di gente dalla solida cultura con un po’ troppa fiducia in se stessa, o poca fiducia nella cultura degli altri. Stavolta è successo con un’affermazione di Nichi Vendola diretta principalmente contro Tremonti.

Prima di approfondire, chiarisco un punto: Vendola è l’unico politico che mi piace tra i soliti noti cui ancora siamo costretti a dar fiducia. Negli ultimi tempi ha cominciato a starmi un po’ antipatico, ma voterei comunque per lui tanto alle primarie (un meccanismo “democratico” su cui prima o poi mi interrogherò meglio) quanto alle successive elezioni politiche. Sebbene ostenti un po’ troppo la sua erudizione con un linguaggio forbito e dotte citazioni, mi fa piacere che almeno uno, tra i potenti, non disdegni di leggere qualche libro in più.

Purtroppo però, tra i libri preferiti da Vendola non sembra esserci nulla di e su Ludwig Feuerbach, grande pensatore tedesco capostipite della critica all’idealismo hegeliano e ispiratore di molti altri e più noti filosofi a cavallo tra XIX e XX secolo. Continua a leggere


Una pulce per Sartre

Lungi da me fare davvero le pulci a Sartre sulla sua giusta difesa dell’esistenzialismo, una filosofia che io trovo fondamentale per riflettere su se stessi senza raccontarsi balle, ma ho letto un brano tratto dalla sua conferenza L’esistenzialismo è un umanismo e mi è venuto spontaneo un commento. Questo il brano:

“Vorrei qui difendere l’esistenzialismo da un certo numero di critiche che gli sono state
mosse. Innanzi tutto lo si è accusato di indurre gli uomini ad un quietismo di disperazione, poiché, precluse tutte le soluzioni, si dovrebbe considerare in questo mondo l’azione del tutto impossibile e sfociare, come conclusione, in una filosofia contemplativa; il che, essendo la contemplazione un lusso, ci riconduce ad una filosofia borghese. Tali soprattutto le critiche dei comunisti.
Ci hanno accusati, d’altra parte, di mettere in evidenza i lati peggiori dell’uomo, di mostrare ovunque il torbido, il sordido, il vischioso, e di trascurare le bellezze ridenti e gli aspetti luminosi della natura umana; per esempio, secondo la Mercier, scrittrice cattolica, d’aver dimenticato il riso del bambino. Tanto i comunisti quanto i cattolici ci accusano di essere venuti meno alla solidarietà umana, di considerare l’uomo come isolato, soprattutto perché noi muoviamo – a detta di comunisti – dalla soggettività pura, dall’ ‘ io penso ’ di Cartesio, cioè dal momento in cui l’uomo raggiunge la coscienza di sé nella moltitudine; e questa nostra posizione non ci permetterebbe più di tornare alla solidarietà con gli uomini che sono fuori dell’io e che l’io non può raggiungere nel <cogito>. Da parte dei cristiani ci si rimprovera di negare la realtà e la consistenza dell’agire umano, giacché, se sopprimiamo i comandamenti di Dio ed escludiamo valori stabili in eterno, non resterebbe altro che la gratuità pura e semplice, per cui ciascuno può fare ciò che vuole, essendo tra l’altro incapace, dal suo punto di vista, di condannare le idee e gli atti degli altri.
[…]
Il nostro punto di partenza è in effetti la soggettività dell’individuo, e questo per ragioni strettamente filosofiche. Non perché siamo borghesi, ma perché vogliamo una dottrina fondata sulla verità e non un complesso di belle teorie piene di speranza, ma senza fondamento reale. Non vi può essere, all’inizio, altra verità che questa: ‘io penso, dunque sono ’. Questa è la verità assoluta della coscienza che coglie se stessa. Ogni teoria che considera l’uomo fuori dal momento nel quale raggiunge se stesso è, anzitutto, una teoria che sopprime la verità, perché, fuori dal <cogito> cartesiano, tutti gli oggetti sono soltanto probabili; ed una dottrina di probabilità, che non sia sostenuta da una verità, affonda nel nulla. Per definire il probabile, bisogna possedere il vero. Dunque, perché ci sia una qualunque verità, occorre una verità assoluta; e questa è semplice, facile da raggiungersi, può essere compresa da tutti e consiste nel cogliere se stessi senza intermediario.
E poi, questa teoria è la sola che dia una dignità all’uomo, è la sola che non faccia di lui un oggetto. Ogni materialismo ha per effetto di considerare gli uomini, compreso il materialista, come oggetti.”

Ecco, io non credo che il materialismo sia così riduttivo nei confronti del soggetto, se almeno prendiamo in considerazione il materialismo storico. La struttura economica che sottende i mutamenti sociali, culturali e politici non è un monolite eterno e immutabile, è anch’essa una sostanza in movimento, in costante interazione con la sovrastruttura e dietro tutto questo ci sono proprio gli individui colti nella loro dimensione sociale. Ma la dimensione sociale degli individui non è slegata dalla loro dimensione privata, individuale appunto: è la somma delle paure, delle indecisioni, dei gusti, delle speranze ecc. di ogni individuo a creare un movimento economico, che proprio per la pluralità di “voci” che lo fonda non è soggetto a nessuna di queste, acquisendo una propria autonomia, ma non una propria indipendenza. Nulla è realmente “indipendente” da nulla. Quindi, il materialismo (storico, almeno) può gettare uno sguardo sociologico sugli individui, ma se negasse la loro soggettività individuale dovrebbe negarne anche quella collettiva, perché tenterebbe di slegare l’interazione tra singolo e moltitudine.
Poi, certo, non è compito del materialismo storico approfondire l’interiorità dell’individuo e quindi la pretesa dei comunisti di quel tempo (1945) è ideologica, perché disprezza un compito assunto da un’altra corrente filosofica di occuparsi di un piano che infine non rientrerebbe comunque nella filosofia materialistica, se non in determinati frangenti, e perciò tende a negare altre forme di pensiero senza che ne abbia una reale necessità, né politica né effettivamente filosofica.
Ma forse sto dimenticando i veri contorni del dibattito culturale e politico di quel tempo, rischiando di essere anacronistico…

P.S.: da qui a un anno il mondo finirà di esistere come noi lo conosciamo. O forse no. Io penso di no.