Archivi del mese: giugno 2020

Sui monumenti (della discordia)

Colombo a Valladolid

Monumento a Cristoforo Colombo, Valladolid, Spagna

Ultimamente, le discussioni che sto avendo sui social network mi risultano più interessanti di quanto potrei scrivere sul blog io stesso. Ne ho riportate diverse in questo periodo [tag “dibattito“, articoli “della discordia”], perché restituiscono con vivacità lo scambio di idee realizzato sul momento, senza troppe riflessioni successive. Questa elaborazione in corso d’opera, proprio per il fatto di non essere definitiva, mi dà la possibilità di fissare le idee e le argomentazioni sul momento, permettendomi poi di ritornarci senza perdere la freschezza del punto di vista.

Perciò riporto un’altra discussione, avuta con una compagna, sulla questione dei monumenti, a partire da quello a Montanelli, tornato alla ribalta in quanto simbolo dell’indulgenza verso il nostro passato colonialista. Ora, sul primo atto di protesta contro il monumento avevo già scritto un anno fa Anacronismo nei giudizi (un abbozzo), in cui avevo un punto di vista leggermente diverso da oggi; ma appunto perché era un abbozzo, non poteva rimanere identico adesso, con un contesto ancora in evoluzione che impedisce di fissare nuovamente il punto della situazione.

Quanto riporto, in realtà, non si riferisce tanto al caso Montanelli, perché come si vedrà ho appianato certi dubbi che avevo (e comunque concordo in pieno con l’obiezione di partenza); mi riferisco invece alla questione più in generale dei monumenti come memoria collettiva, e al significato della loro rimozione, delle possibilità di modificare la costruzione collettiva della memoria storica come parte dell’identità nazionale. Io ritengo che, al netto dei giudizi odierni, che hanno una loro ragione ben giustificata, la questione sia comunque molto complessa, più di quanto si riesca ad esprimere in una normale discussione.

Segnalo intanto alcuni articoli che secondo me forniscono spunti interessanti:

  • “Cosa fare con le tracce scomode del passato”, di Igiaba Scego, uno degli articoli migliori che abbia letto, tra i molti sbraitanti e isterici di entrambe le parti. Io la penso sostanzialmente come l’autrice: il passato va ri-contestualizzato in maniera critica, aggiungendo narrazioni e memorie anziché eliminarle.
  • “La disputa delle statue”, di Enrico Gullo, una bella disamina storica tra storia dell’arte, damnatio memorie e rivolte.
  • Una video risposta di Alessandro Barbero su Leopoldo II del Belgio, il re che riservò per sé, come sua proprietà privata, l’intero Stato libero del Congo, in cui le atrocità contro la popolazione locale ispirarono, superandola però di gran lunga in mostruosità, la fantasia di scrittori come Joseph Conrad, con il suo Cuore di tenebra.

E ora il dibattito: Continua a leggere


Ricerca e costruzione del senso

Da Magritte a Duchamp: presto a Pisa la carica dei Surrealisti ...

Parlo del senso delle cose. La ricerca del senso occupa i nostri pensieri, quando pensiamo alla vita, dando come presupposto che un senso ci sia. Non conoscendolo, né riconoscendolo palesemente in qualcosa, lo ricerchiamo nelle esperienze che ci vengono offerte e che andiamo trovando. Se lo troviamo, su di esso costruiamo i nostro “castelli”; se non lo troviamo, costruiamo i nostri “abissi” (la differenza non è netta). Il punto è che cerchiamo un senso a priori. Spesso lo troviamo a posteriori e gli conferiamo lo status di “senso oggettivo”.

La prospettiva del senso oggettivo delle cose (e della nostra vita), in genere, tende a giustificare l’etica e la morale diffuse nelle culture date, segnando la differenza tra bene e male (quali che ne siano le sfumature e le gradazioni). Ma se il senso oggettivo viene perso di vista, o ritenuto inesistente, la tendenza è verso il nichilismo, l’assenza di senso e perciò la conseguente giustificazione di ogni comportamento, oramai ingiudicabile. Viene cioè meno la legittimità della morale e dell’etica.

Il problema del nichilismo è che risulta quasi solo distruttivo e passivo. Quella famosa pagina di Dostoevskij in cui il personaggio afferma «se Dio non esiste, tutto è concesso», è certo interpretabile in vari modi, ma sembra innanzitutto segnare questa idea di nichilismo autodistruttivo (infatti il personaggio pensa al suicidio come atto di libertà assoluta e “obbligatoria”). L’accusa di nichilismo (passivo) viene mossa contro la modernità, per aver distrutto le basi del riconoscimento del senso oggettivo delle cose, attraverso la scienza e la tecnica, che avrebbero portato al materialismo e all’ateismo, ossia alla negazione di valori e significati universali, oggettivi e assoluti.

L’assenza di valori oggettivi, di una loro giustificazione sovrumana, non è però una sostenibile affermazione di libertà anarchica individuale. Se infatti ogni causa sovrumana è falsa, il contenuto delle religioni e delle filosofie etiche e morali ha comunque avuto una origine, e questa origine è umana. I valori considerabili come universali sono pur sorti da qualche fonte: se tale fonte non esiste al di fuori della natura o dell’essere umano, deve per forza essere umana in sé. Ciò vuol dire che ogni valore è stato tratto dalla nostra percezione e dalla nostra elaborazione intellettuale, alienato e oggettivato (come sosteneva Feuerbach), ossia reso esterno e indipendente attraverso le costruzioni culturali. Dunque, se Dio non esiste, ciò che gli è stato attribuito è in realtà umano e terreno.

Da qui, la costruzione del senso, che sostituisce (o integra e implementa) la ricerca. Se un senso oggettivo non c’è, possiamo attribuirlo noi, dandogli la stessa validità universale quanto più il senso è condiviso. Si costruisce così un’etica non dogmatica né imposta, ma comprensibile e adattabile, in cui i valori siano socialmente accettati in quanto “giusti”; tale “giustezza” si basa appunto sulla comune percezione e rielaborazione di ciò che è bene e ciò che è male, secondo lo scambio dialogico di idee. [Vi rientrano parte della morale kantiana, parte dell’etica di Habermas, parte del “nichilismo attivo” di Nietzsche, oltre al materialismo feuerbachiano]

Nella nostra vita individuale, la costruzione del senso è sullo stesso piano della costruzione del Sé, ossia della nostra consapevole trasformazione verso ciò che desideriamo essere. All’inizio possiamo cercare di scoprire chi siamo, come ci comportiamo nelle situazioni reali (al di là delle affermazioni che facciamo), se siamo o non siamo in un certo modo (coraggiosi o vigliacchi, intraprendenti o indolenti, attivi o passivi, ecc.). In seguito, trovando – o meno – ciò che avremmo a priori, possiamo passare in ogni caso alla costruzione di noi stessi, trasformandoci secondo percorsi voluti e agendo a posteriori. La costruzione del senso e del Sé è il passaggio alla trasformazione cosciente della propria realtà, individuale e sociale.