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Crasi e identificazione

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Bane the Barbarian by Andreas Holzendorf (Game-Art-HQ.com)

A proposito di memorie…

Tempo fa ho letto due articoli di Diana, Crasi e Identificazione, che mi hanno fatto ripensare a cose su cui non mi soffermavo da tempo. Una è l’origine del mio “nome”, GoatWolf, che è una crasi in senso figurato; l’altra è l’identificazione con personaggi letterari o mitologici (o anche storici), legati a una vaga concezione del “male”, che in vari modi ho provato negli anni e che si è espressa in forme artistiche.

Per la crasi: che diavolo è un “goatwolf”?

Il termine l’avevo trovato circa venticinque anni fa in una recensione di un videogioco, Weaponlord, in cui c’era un personaggio definito così dai redattori: Bane, “un mostruoso goat-wolf” che indossava una pelle di lupo con corna d’ariete. Facendo ricerche, ho visto che anche in alcuni giochi fantasy esiste un animale a metà tra la capra ed il lupo, che solitamente è cavalcato dai goblin. Io ho deciso di utilizzarlo per svariati motivi; intanto, perché mi è rimasto impresso da quella prima volta, quindi ha qualcosa che mi riguarda. Poi, perché racchiude in sé due opposti, da cui la “crasi” in oggetto: la capra, mite ed erbivora, ed il lupo, aggressivo e carnivoro, che oltretutto non sono distinti in carnefice/vittima, perché la capra sa difendersi bene ed il lupo non è solo una bestia feroce, come nella tradizione favolistica. Inoltre, coincidenza delle coincidenze, la capra è il mio segno nello zodiaco cinese, mentre il lupo è simbolo delle due città che sento mie più delle altre, quella in cui sono nato e quella che mi ha accolto. Infine, GoatWolf secondo me ha un suono molto metallaro e, beh… ça va sans dire.

Per l’identificazione: tiranni e stregoni

Non ricordo chi disse che ai bambini piacciono i cattivi, nelle storie, perché hanno il potere che loro manca. Ma allora se piacciono anche agli adulti, vuol dire che tutti ci sentiamo impotenti nelle nostre vite, o lo siamo meno di quanto vorremmo. In questo caso, capisco perché mi hanno sempre affascinato stregoni e tiranni. Ma c’è anche altro, secondo me, ed è il tormento: il cattivo, a meno che non sia un imbecille con l’occasione giusta in mano, può rivelare una complessità insospettata che risulta poi in una cattiveria, a suo modo, motivata e persino sofferta, che lo rende (letterariamente) grande. E poi, è già al suo apice, al contrario dell’eroe che deve intraprendere un viaggio o una sfida, per riprendere Propp.

Ho sempre preferito i cattivi, sin da piccolo. Devono essere cattivi dotati di fascino, non dei balordi qualsiasi; e anche quando lo siano, dovrebbero comunque avere qualche caratteristica interessante, un potenziale che li renda meglio di quel che sono. Nel caso dei tiranni, devono essere grandiosi; nel caso degli stregoni, devono essere sorprendenti. Entrambi devono essere inquietanti. E devono farmi amare il fatto di odiarli, non odiarli e basta. Insomma, deve sempre esserci qualcosa di luciferino in loro. Ecco allora una carrellata di quelli che mi tornano in mente più di altri, e perché mi sia identificato in loro in alcuni momenti della mia vita.

Thulsa Doom, nell’incarnazione cinematografica di Conan il Barbaro (J. Milius, 1982), un potente e inquietante stregone capace di soggiogare le folle, trucidare interi villaggi, schiavizzare bambini, trasformarsi in serpente (il cui culto prevede sacrifici umani)… Forse, se non fosse stato interpretato da James Earl Jones, non avrebbe avuto tutto quel carisma che mi affascinò da piccolo. Lo scelsi poi come come prima identità virtuale, quando iniziai a navigare vent’anni fa. [Devo sottolineare che questo personaggio, in realtà, non corrisponde al Thulsa Doom dei racconti di R.E. Howard, sia perché quello non appare nella saga di Conan, bensì in quella di Kull, sia perché il personaggio più direttamente collegabile è Thot Amon, stygiano maestro di arti oscure]

Skeletor, il nemico di He-Man. Devo aggiungere altro? Sì, un collegamento: il franchise dei Dominatori dell’Universo, nato nei primi anni Ottanta, mescolava elementi dai film di successo di allora, in particolare Conan e Guerre Stellari. Thulsa Doom, nei fumetti di Conan editi dalla Marvel, non è come quello del film: è sempre uno stregone potentissimo, ma il suo viso, spesso celato da maschere, è in realtà un nudo cranio. Quindi si può dire che Skeletor sia una versione per bambini di Thulsa Doom, così come He-Man lo sia di Conan.

Jagger, di Hokuto no Ken. Il più bastardo e crudele dei grandi nemici di Kenshiro, l’unico a non poter essere “salvato” in alcun modo, l’unico senza speranza di rendenzione all’ultimo momento, o con qualche frase che riveli l’insospettata profondità d’animo. L’esatto contrario, il polar opposite, dell’eroe della saga, che si procura le stesse ferite sul petto (le “sette stelle”) pur di screditarlo agli occhi degli oppressi che, anziché aiutare, schiavizza, depreda e uccide senza motivo. Fa la fine che merita, ma secondo me avrebbe anche meritato più spazio.

Baron Samedi, il loa, divinità vudù. Sono sempre stato affascinato dal sincretismo di Haiti, sin dall’adolescenza. Merito, in effetti, di alcuni film, anche se alla fine trattano sempre male questi culti; credo che il primo contatto fu grazie a White Zombie (L’isola degli zombies in Italia), un film degli anni Trenta con Bela Lugosi nel ruolo di un bokor che riduce in schiavi zombificati i suoi nemici. Ma anche Il serpente e l’arcobaleno (regia di Wes Craven) fu davvero bello. Al di là di questa origine cinematografica, avevo anche interesse a un diverso tipo di spiritualità e studiavo le religioni “esotiche” per avere visioni differenti. Non nego affatto che il fascino derivasse anche dai temi della magia nera, ma studiando questi culti ho capito che, come al solito, viene spacciato per “male” tutto quello che non si capisce, o va fuori dal quadro di riferimento culturale. Spesso, terribilmente manicheista. A tal proposito è interessante il libro The Serpent and the Rainbow, dell’etnobotanico e antropologo culturale Wade Davis, da cui hanno tratto appunto il gustoso film. Un libro serio, non un romanzo. Comunque, anche personaggi come il wrestler Papa Shango, o i protagonisti dei videogiochi Akuji the Heartless e Shadow Man e altre amenità, mi piacciono per via di questa risonanza

Rotwang, lo scienziato di Metropolis. Una figura dannatamente intrigante, a metà tra l’inventore e l’alchimista, che crea il primo esempio di quello che oggi chiamiamo androide. Nella sua casa-laboratorio, nascosta negli anfratti dimenticati della gigantesca Metropolis, ricrea l’umanità nella visione di un uomo-macchina che può diventare indistinguibile da una persona vera; mosso da una tragica passione per una donna, Hel, che mai potè sposare, costruisce un robot che possa “riportarla” in vita. La parte “alchemica”, se così si può definire, è soprattutto mentale, anche se un pentagramma sullo sfondo richiama senz’altro a una commistione tra modernità e antichi saperi. La sua espressività bipolare e la mano meccanica completano il quadro.

Darth Vader e Palpatine, di Star Wars. Da bambino, come tutti, ho adorato Vader per la sua forza distruttrice; un po’ più cresciuto, ho apprezzato la figura misteriosa dell’imperatore, per la sua capacità di sedurre e ingannare. Un vero cattivo maestro, che predica cattivi valori in una maniera affascinante. Se Vader è esattamente l’archetipo di quanto dicevo prima (“il potere che loro manca”), Palpatine è l’emblema del potere politico e religioso. Solo che Vader ha anche il tormento, Palpatine no, quindi resta suo malgrado un gradino sotto.

Lo Pan, di Big Trouble in Little China (sì, ho iniziato coi titoli in inglese e ormai continuo così). Un… demone? Fantasma? Uomo maledetto? Forse tutte queste cose e anche altro. Certamente anche il capo di una organizzazione criminale dagli interessi oscuri e mostruosi, un po’ come Fu Manchu ma senza razzismo. Anche per lui si tratta di fascino e mistero, magia (quella “più oscura”) e crudeltà. Facile ritrovarlo in personaggi come Shang Tsung, che guardacaso è uno dei miei preferiti in Mortal Kombat.

Marte, il dio romano della guerra. Dico io, è la guerra, cosa c’è di più malvagio e terribile? Ma con una sottile differenza rispetto a Ares, il suo corrispettivo greco: non è solo ed unicamente guerra, è anche più in generale lotta, per difendersi, per conquistare il proprio spazio, per ottenere un risultato positivo (per sé). Almeno nella Roma più antica, era un dio con un ulteriore aspetto a suo modo positivo, essendo anche un protettore dei campi coltivati. Ma è chiaro che sia comunque un dio violento e foriero di morte e distruzione, e io me lo sono sempre immaginato con un’armatura nera e argentea e gli occhi rossi luminosi. Ricordo sempre mio nonno materno che mi raccontava di quando Marte fu ferito sul campo di battaglia e fece un urlo che spostò il cielo.

Lucifero. Un giorno ne parlerò approfonditamente. Non tanto Satana, non tanto Belzebù, non “il diavolo” in generale, dico proprio Lucifero. Ma diamo tempo al tempo.

Stalin e Mao. Se devo scegliere dei tiranni veri, ne ho (purtroppo) a bizzeffe tra cui scegliere. Ma è la grandezza a fare la differenza. L’epica grandezza del governare su milioni, come Khan Noonien Singh, ma sul serio. Insomma, il potere e la gloria. All’epoca, non li consideravo davvero dei tiranni, bensì degli eroi della rivoluzione mondiale. Ho passato l’adolescenza con il ritratto di Stalin in camera. Mao era (o sembrava) quella figura serafica di leader che affronta tutto con la calma della certezza. Stalin aveva qualcosa di incredibilmente paterno. Oggi potrebbero benissimo star seduti su un trono fatto di ossa. Ciò non toglie che, ai fini di questa lista, sono due figure tiranniche il cui mito, per quanto sbiadito, continua ad affascinarmi per quell’aura di paradiso costellato di mostruosità che, beh, è la vera e unica distopia concreta.

Ma nella realtà ero il tenente Barclay di Star Trek: The Next Generation. Senza la sua genialità.


La caduta rovinosa dei Robot

Rise
 
I robot! Assieme a pirati, ninja e dinosauri, sono i figaccioni delle fantasie e dell’escapismo, infantile e adulto. E lo sono anche perché c’è un intero genere letterario in cui hanno ruoli preponderanti: la fantascienza. Asimov ne è il gran maestro, e il fatto che io stia leggendo la trilogia dei Robot non deve farvi pensare che ne stia parlando apposta in questo articolo; anche se è vero. Cosa è un robot? La parola deriva dal ceco robota che significa “lavoro”; i robot sono i lavoratori del futuro, le macchine lavoratrici anzi, che si occuperanno (o si sarebbero occupati, se la tecnologia non stesse rendendo obsoleta, oramai, parecchia fantascienza di base) dei lavori più pesanti e ingrati, tipo estrarre minerali dagli asteroidi, gestire la trasmissione di energia attraverso gli spazi siderali, o giocare coi bambini.

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Addio a Christopher Lee

Ho appena saputo della morte di Christopher Lee, il più famoso e forse il più classico dei Dracula (con tutto il rispetto per Bela Lugosi, cui nessuno toglierà mai il primato). Un attore eccezionale, dotato di carisma, forte presenza scenica e una splendida voce baritonale. Molto attivo in tutta la sua carriera, soprattutto tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, è stato tra le altre cose uno dei nemici più interessanti di James Bond. Negli ultimi anni era tornato sulla cresta dell’onda grazie a film di grande successo come le trilogie de Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit e la seconda di Star Wars. Dimostrando una passione insospettabile, aveva partecipato alla produzione di un album di symphonic metal, Charlemagne: By the Sword and the Cross, collaborando con i Rhapsody. E’ persino entrato nel Guinness dei primati come “l’attore vivente più citato sugli schermi”, giusto per sottolineare la sua popolarità e influenza nella storia del cinema. Riposi in pace.


Chiudere i conti con George Lucas

George Lucas è riuscito, nel giro di pochi anni, a inimicarsi gran parte dei suoi fan. Ma come tutti i grandi, è sempre seguitissimo e non manca di fare milioni e milioni di dollari con ogni sua mossa. Ho visto un documentario che spiega tutte le critiche mosse a Lucas dagli innumerevoli fan di Guerre Stellari. In sostanza, lui ha “osato” rimaneggiare i suoi capolavori, modificando scene e dettagli, aggiungendo effetti e sostituendone altri, fino a cambiare in alcuni punti la sostanza dei film. Ma la cosa più “ignobile”, quella che ha scatenato la furia dei fan, è stata la decisione di negare la ristampa delle versioni originali, obbligando il mondo a non vedere mai più i film usciti al cinema dal ’77 all’83, nella forma in cui hanno conquistato milioni di cuori e influenzato l’immaginario collettivo.

Le modifiche sono parecchie e sarebbe lungo elencarle (come esempio, godetevi il video qui sopra e recuperate gli altri dello stesso autore), ma posso citare la scena di Han Solo nel bar di Mos Eisley: nella versione originale, quando sta per uscire dal bar, viene fermato da un emissario di Jabba The Hutt che lo minaccia con una pistola; si siedono a un tavolo, scambiano un paio di battute poco simpatiche, e poi Han gli spara a tradimento da sotto il tavolo, uccidendolo. Nella versione modificata, è l’alieno a sparare per primo, con un orrido effetto grafico che fa spostare la testa di Han dalla traiettoria del laser. Questa modifica è sostanziale, perché fa apparire la sparatoria come autodifesa di Han, come se fosse stato costretto. Ma non è così: Han spara per primo perché è un individuo pericoloso, pronto a far del male, e non potrebbe essere altrimenti, visto il mondo criminale in cui vive. Lucas ha preferito edulcorare la scena per i bambini? Forse. Ma non mi pare che nessuno sia rimasto traumatizzato dall’originale.

Io, che adoro quella saga meravigliosa, ho da dire un paio di cose. Continua a leggere


Lovecraft politico. Critica a De Turris e Fusco

Prima o poi scriverò qualcosa sul mondo assurdo e spaventoso creato dal genio di Howard Phillips Lovecraft, su come ne ebbi vaga conoscenza sin da bambino e quanto mi abbia colpito in seguito, leggendo i suoi straordinari racconti. Vorrei occuparmene per bene e con calma, ma per far questo devo rimandare a un momento più tranquillo il mio interesse letterario. Oggi mi voglio invece occupare di una diatriba vecchio stampo, la politicizzazione di un autore e con lui di un genere letterario che, di per sé, parla all’interiorità onirica di ognuno di noi, senza perdersi dietro a etichette culturali di dubbio valore; gli esempi si sprecano, vista la smania di affibbiare le suddette etichette qui da noi in Italia, continuando una tradizione che aveva forse senso negli anni Settanta, ma che oggi ha qualcosa di patologico. L’occasione mi si presenta grazie alla lettura dell’Introduzione a un volume di lettere scelte del Solitario di Providence.

Il volume, uscito nel 2007 per le Edizioni Mediterranee e intitolato L’orrore della realtà, è curato da due giornalisti studiosi di letteratura ampiamente ritenuti tra i massimi esperti di H.P. Lovecraft nel nostro Paese, già direttori della Fanucci: Gianfranco De Turris e Sebastiano Fusco. Continua a leggere